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La cultura digitale rappresenta l&#8217;insieme di conoscenze e competenze digitali accessibili attraverso il web. La Digital Library si impegna a guidarti attraverso il linguaggio e le dinamiche della cultura digitale promuovendo l&#8217;uso di standard nella creazione e conservazione dei contenuti. In questa pagina puoi approfondire le parole chiave, scoprire gli esempi virtuosi, le buone pratiche e molto altro.

Il Piano di Digitalizzazione del Patrimonio Culturale: perché è un’opportunità anche per il digitale

Il Piano Nazionale di Digitalizzazione del Patrimonio Culturale (PND) 2022-2023 ha uno scopo semplice e logico: dopo la spinta decisiva alla digitalizzazione dei diversi elementi del nostro patrimonio culturale pubblico, rimane il problema di come &#8216;valorizzare&#8217; nel digitale.

I primi passi del piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale

Stanziati 500 milioni di euro a fondo perduto per digitalizzazione, infrastrutture e piattaforme di conservazione e accesso. Investimenti per nuovi contenuti e servizi digitali da parte di ICC e start-up. Ne parla Laura Moro.

Le novità del Piano di digitalizzazione del patrimonio culturale

Circolazione delle immagini, business model digitali e nuove professioni.

In primo piano

Il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale è stato redatto dalla Digital Library del Ministero della cultura. Frutto di un processo di condivisione e confronto con diverse istituzioni culturali, il Piano costituisce la visione strategica con la quale il Ministero intende promuovere e organizzare il processo di trasformazione digitale nel quinquennio 2022-2026.
Scopri la visione, la strategia, le linee guida e tutti gli elementi che compongono il PND.

Trova tutti termini tecnici più utilizzati nel nostro settore per aiutarti a comprendere al meglio le informazioni di cui hai bisogno.

L&#8217;accessibilità è l&#8217;opportunità per il più ampio numero possibile di persone di accedere a un oggetto, un servizio o un ambiente. In ambito culturale, questo principio, presente già nella <a href="https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/file/DICHIARAZIONE_diritti_umani_4lingue.pdf">Dichiarazione universale dei diritti umani</a> del 1948, implica l&#8217;abbattimento di barriere fisiche, sociali, intellettuali, sensoriali, culturali, economiche o tecnologiche, garantendo pari opportunità di accesso alla cultura.
Attraverso la trasformazione digitale si può raggiungere l’obiettivo di superare qualsiasi tipo di barriera per abbracciare invece il concetto di accessibilità diffusa. Ciò include superare barriere linguistiche, coinvolgere vari pubblici e generazioni senza dislivelli sociali, assicurare l&#8217;accessibilità fisica e digitale, e preservare oggetti culturali attraverso l&#8217;adozione di nuove strategie di conservazione. Considerare l’accessibilità in ogni forma permette di attuare i principi espressi nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 2006 e si allinea con l&#8217;obiettivo dell&#8217;Agenda ONU 2030 di fornire un&#8217;educazione di qualità, equa ed inclusiva per tutti.

Accessibilità

Un’interfaccia di programmazione delle applicazioni (API) è un insieme di protocolli, funzioni e/o comandi che i programmatori usano per facilitare l’interazione tra servizi e software distinti; sono dunque interfacce con cui le macchine si relazionano.
Le API permettono a un servizio software di accedere ai dati di un altro servizio software senza che lo sviluppatore debba sapere come funziona l’altro servizio. A livello tecnico, esse permettono ad agenti eterogenei di accedere dinamicamente e riutilizzare gli stessi set di dati e flussi di lavoro standardizzati. Attraverso le API i dati possono dunque essere interrogati, estratti, scambiati, arricchiti. 
L&#8217;obiettivo dei moderni sistemi informativi culturali è integrare e diffondere la conoscenza, invece di limitarsi a catturarla e incapsularla. Questo cambiamento tecnico e intellettuale può rappresentare la «svolta infrastrutturale» nelle Digital Humanities e della trasformazione digitale.

Application Programming Interface (API) 

I big data rappresentano grandi quantità di dati, siano essi strutturati, semi strutturati e non strutturati, e hanno almeno una delle seguenti caratteristiche:
<ul>
<li>Un grande volume di dati che non è possibile raccogliere con tecnologie tradizionali;</li>
<li>Velocità con cui molti dati vengono generati, raccolti ed elaborati;</li>
<li>Una grande varietà di dati provenienti da fonti eterogenee.</li>
</ul>
I big data si contraddistinguono anche per: veridicità, variabilità (diversi formati di dati, differenti contesti di provenienza e significati mutevoli) e la possibilità di estrarre valore attraverso l&#8217;analisi avanzata. 
Il fenomeno dei big data sta rimodellando i modi in cui le istituzioni della cultura selezionano i materiali da raccogliere, conservare e condividere nell’interesse pubblico e i possibili futuri che vengono creati attraverso queste pratiche di raccolta. L’uso dei big data all’interno dell’ecosistema della cultura può fornire gli strumenti per intercettare nuovi pubblici e ottimizzare la pianificazione di progetti, facilitando forme di accessibilità.

Big Data

Il cloud computing, indica la tecnologia che permette di gestire e processare dati in rete. Secondo la definizione fornita dal <a href="https://nvlpubs.nist.gov/nistpubs/legacy/sp/nistspecialpublication800-145.pdf">National Institute of Standards and Technology</a>, il cloud computing è un modello per abilitare, tramite la rete, l’accesso diffuso a un insieme condiviso e configurabile di risorse di elaborazione (ad esempio reti, server, applicazioni), facilmente acquisibili e rilasciabili. Le risorse condivise sono caratterizzate da rapida scalabilità e dalla misurabilità puntuale dei livelli di performance.
Il cloud computing sposta le infrastrutture nella rete, aumentando la sostenibilità e riducendo costi per la gestione delle risorse hardware e software.
In coerenza con gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, la <a href="https://innovazione.gov.it/dipartimento/focus/strategia-cloud-italia/">Strategia Cloud Italia</a> ha avviato la migrazione dei dati della Pubblica Amministrazione verso il cloud dei dati nazionale e i servizi digitali per:
<ul>
<li>assicurare l’autonomia tecnologica del Paese;</li>
<li>garantire il controllo sui dati;</li>
<li>aumentare la resilienza dei servizi digitali.</li>
</ul>

Cloud computing

Con il termine “co-creazione” si intende un’attività di progettazione partecipativa, in cui rientrano anche la “co-produzione” e il “co-design”. Non c&#8217;è una definizione chiara e univoca del termine, sia perché è spesso usato in contesti e discipline differenti, sia perché afferisce al concetto di progettazione partecipativa che fa uso di termini interscambiabili o correlati. Fra le diverse accezioni, quella che maggiormente aderisce all’utilizzo che se ne fa nei processi di innovazione culturale è quello di coinvolgimento attivo degli utenti finali nelle diverse fasi del processo produttivo di un prodotto o servizio. Si tratta di una “cultura partecipativa” in cui il processo di diffondere, condividere e mettere in relazione contenuti è reso possibile dall’attuale rivoluzione digitale e diffusione transmediale (video games, Internet, piattaforme mobile, social networks, ecc.), secondo un modello di produzione di contenuti orizzontale e dominato dalle “user generated stories”.

Co-creazione 

Nel contesto dei documenti tecnici, archiviazione, preservazione e conservazione degli oggetti digitali rappresentano fasi distinte nel ciclo di vita dei dati. L&#8217;archiviazione coinvolge l&#8217;immagazzinamento di dati e metadati su idonei supporti di memorizzazione, come hard disk e repository cloud, previa incapsulazione in pacchetti di archiviazione (AIP) per gestire versioni multiple dei documenti.
La conservazione digitale, nel patrimonio culturale, consiste nell’insieme dei processi e delle attività volte a garantire la permanenza a lungo termine delle informazioni digitali, mantenendone l&#8217;accessibilità nel tempo e prevenendo rischi legati all&#8217;obsolescenza degli hardware e dei software, incompatibilità dei formati e duplicazione dei file. Nella lingua inglese è invece più diffuso il termine “digital preservation”, tradotto in italiano con il corrispettivo “preservazione digitale”: il significato della locuzione è analogo a quello di conservazione digitale.

Conservazione digitale 

Il contesto, nel campo informatico, è fondamentale per ricavare un dominio di conoscenza. L’elemento minimo del contesto è il dato inteso come informazione grezza, spesso costituita da simboli che devono essere elaborati. Il dato, quando arricchito di un contesto, diventa informazione. Un dato isolato dal suo contesto può non essere interpretabile, e diventa informazione attraverso l’elaborazione di più dati che lo collocano in un determinato valore semantico o conoscenza. Il contesto può essere visto come un insieme di variabili i cui valori possono creare dei cambiamenti nella rappresentazione dell’informazione e del significato. Non si può dunque prescindere dal contesto nel quale un’informazione si trova a operare. I metadati hanno un ruolo fondamentale nella descrizione dei contenuti e nella determinazione di un contesto; per questo, per i dati della cultura la scelta dei modelli di metadati riflette atti di preservazione, interpretazione e valorizzazione del patrimonio culturale.

Contesto

Il crowdsourcing, termine introdotto nel 2005, implica l&#8217;esternalizzazione di un compito (&#8220;outsourcing&#8221;) a un gruppo di persone (&#8220;crowd&#8221;) attraverso una chiamata aperta di collaborazione a progetti rivolta a chiunque. Questa pratica, oltre a ottimizzare i costi di produzione, crea meno separazione fra chi è un professionista e chi non lo è. Su queste basi sono state sviluppate diverse piattaforme e progetti che hanno permesso di contribuire alla costruzione di contenuti in rete da parte degli stessi utenti. Queste pratiche portano a nuove modalità di interazione e confronto con il patrimonio culturale e creano le possibilità di apprendere in modo diverso da come si è stati abituati a fare, coinvolgendo un pubblico più ampio. Diversi progetti provenienti dalle Digital Humanities in cui compiti molto complessi, abitualmente svolti da studiosi, sono stati affidati a persone non esperte, producendo così un cambio di approccio e di valore ai documenti del patrimonio culturale.

Crowdsourcing

La cultura digitale rappresenta il corpus di conoscenze e competenze digitali accessibili attraverso il web, dovute alla diffusione pervasiva delle nuove tecnologie nella società. La cultura digitale si sviluppa dagli anni Sessanta, quando negli Stati Uniti si avviano i primi progetti relativi alla rete internet. La cultura digitale è intrinsecamente legata alle tecnologie dell&#8217;informazione e della comunicazione (ICT), ovvero alla grande capacità di processare e muovere dati e informazioni attraverso la rete. La cultura digitale si caratterizza per tre elementi: partecipazione, digitalizzazione e riuso dell’informazione. Basata su rapporti decentrati dove la trasmissione del sapere avviene nella forma della rete, essa appare come un vero e proprio ecosistema, capace di riformulare i saperi del passato e contemporaneamente di proiettarsi nel futuro. La cultura digitale si preoccupa anche di preservare l&#8217;accessibilità dei diversi formati nel tempo, specialmente quelli nativamente digitali, promuovendo l&#8217;uso di standard nella produzione e archiviazione dei contenuti.

Il Data as a Service (DaaS, “Dati come servizio”) è un modello di fornitura e distribuzione delle informazioni in cui i file di dati (inclusi testo, immagini, suoni e video) sono resi disponibili agli utenti attraverso una rete, tipicamente Internet. Il modello utilizza una tecnologia di base fondata sul cloud computing che supporta servizi web e la SOA (Service Oriented Architecture, “architettura orientata ai servizi”). Le informazioni reperibili mediante un DaaS sono memorizzate nel cloud, e accessibili attraverso diversi dispositivi. Come per tutte le tecnologie “as a service” (aaS), il servizio erogato mediante tecnologia DaaS può essere fornito all’utente «su richiesta» (Agrawal et al., 2009). L’architettura orientata ai servizi (SOA) e l’uso sempre più diffuso delle API permettono di interrogare direttamente le banche dati, prescindendo dalle piattaforme di presentazione delle informazioni. Esempi comuni di DaaS includono, a titolo esemplificativo, i servizi di georeferenziazione, che forniscono dati geografici agli utenti.

Data as a Service

I dati, o altri tipi di contenuto correlato, sono aperti se chiunque ha la libertà di usarli, riutilizzarli e ridistribuirli per qualsiasi finalità. A seconda delle licenze con cui vengono pubblicati, possono essere soggetti a requisiti di attribuzione e di condivisione tramite le stesse licenze con cui sono stati rilasciati. Secondo la Open Knowledge Foundation il concetto di “apertura” si basa su:
• Disponibilità e accesso: i dati devono essere completamente accessibili e preferibilmente scaricabili dalla rete a un costo ragionevole. Devono anche essere disponibili in un formato facilmente modificabile. 
• Riutilizzo e ridistribuzione: i dati devono essere forniti con condizioni che consentano il riutilizzo e la ridistribuzione, inclusa la commistione con altri set di dati. 
• Partecipazione universale: tutti devono poter usare, riutilizzare e ridistribuire i dati senza discriminazioni.
Per più dettagli sono disponibili le Linee guida &#8220;Open Data&#8221; stilate da<a href="https://www.agid.gov.it/it/argomenti/linee-guida"> Agid.</a>

Dati aperti

Il termine digital library, coniato nel 1987, vanta una molteplicità di interpretazioni, principalmente legate al dominio delle biblioteche e dell’ecosistema GLAM (Galleries, Libraries, Archives and Museums). Ci sono stati vari tentativi di giungere ad una visione comune, ma è con l&#8217;evoluzione del web e dei cambiamenti tecnologici che il concetto si è arricchito con relazioni semantiche, interoperabilità e riutilizzo delle risorse.
Il progetto World Digital Library della Library of Congress rappresenta un esempio, includendo varie tipologie di beni GLAM. In questo contesto si condivide il significato di digital library come struttura unica e coerente, in cui le risorse digitali sono messe in relazione fra loro in base all’ambito di appartenenza (biblioteche, archivi, musei) e alla natura degli oggetti digitali (nativi o digitalizzati). Questa declinazione di digital library supera il concetto di teca digitale, visto come un aggregatore di risorse, per abbracciare quello di ecosistema governato da relazioni semantiche, cross-disciplinarietà e interscambio.

Digital library

Si dicono digitali nativi, in inglese born digital, i documenti che hanno origine in una forma digitale e non sono una riproduzione di beni analogici. I materiali nativamente digitali sono al centro del dibattito odierno sia per la raccolta e la gestione, sia per le sfide legate all&#8217;archiviazione dovute all&#8217;obsolescenza dell&#8217;hardware e del software e al crescente volume di documenti prodotti. 
La definizione di un oggetto born digital comprende diversi tipi di documenti e archivi, tra cui siti web, documenti informatici, fotografie, interviste audio, video creativi e informativi, e altro ancora. 
In Italia, il deposito legale delle risorse native digitali e l&#8217;archiviazione web non sono ancora regolamentati. Tuttavia, il progetto &#8220;<a href="https://www.bncf.firenze.sbn.it/biblioteca/magazzini-digitali/">Magazzini Digitali</a>&#8220;, avviato nel 2006 da diverse istituzioni italiane, è un primo tentativo di creare un sistema per la conservazione permanente di oggetti born digital.

Digitale nativo 

Il termine ecosistema ha diversi significati a seconda delle declinazioni d’uso. Nella sua declinazione “digitale”, descrive un fenomeno che si è avviato con le prime campagne di digitalizzazione e che è esploso con lo sviluppo del web 2.0, e la diffusione di dispositivi mobile (Marinelli, 2020). Come in natura, anche nell’ecosistema digitale si creano “ambienti” complessi in cui entità diverse tra loro risultano interdipendenti all’interno di una infrastruttura (organizzativa, logica o semantica).
In questo ecosistema digitale nessun elemento esiste isolatamente ma contribuisce a un ambiente interconnesso, coinvolgendo attivamente gli utenti che collaborano e interagiscono con contenuti e servizi. L&#8217;architettura è dinamica e aperta, e favorisce la correlazione orizzontale tra gli elementi anziché una struttura gerarchica. L’ecosistema accoglie diversi domini, entità e media e la progettazione si focalizza sulla rete di elementi anziché sugli elementi singoli, trasformando l&#8217;esperienza di fruizione delle risorse culturali in una partecipazione diffusa e interconnessa.

Ecosistema digitale

Il termine edutainment, coniato nel 1973 dal documentarista Bob Heyman, è un lemma composto dalla crasi di due sostantivi: “education”, ed “entertainment”, che connota invece il carattere di divertimento e di svago (Cervellini et al., 2011). Inizialmente utilizzato per videogiochi educativi, ora si riferisce a un ramo dell&#8217;e-learning che permette l&#8217;apprendimento divertente attraverso contenuti multimediali su supporti informatici. (Valentino et al., 2004). Nel tempo, la definizione si è estesa a ogni forma di intrattenimento che incoraggia l&#8217;apprendimento. Attualmente, l’edutainment si riferisce a tutte le attività volte a integrare due obiettivi della comunicazione culturale, quali “apprendimento” e “divertimento” (Ippoliti et al., 2011, p.49), tra cui il patrimonio culturale. Diverse istituzioni museali e luoghi della cultura hanno adottato il tema dell’edutainment quale forma di intrattenimento e educazione, con l’obiettivo di promuovere una diversa modalità di partecipazione basata sull’economia dell’esperienza, e stimolare la fruizione da parte di pubblici eterogenei per età e formazione.

Edutainment

Col termine infosfera (composto da “informazione” e “sfera”), nella filosofia dell’informazione, si intende la globalità dello spazio delle informazioni e di qualsiasi sistema in grado di interagire con esso. L’infosfera include sia il cyberspazio (Internet, telecomunicazioni digitali) sia i mass media classici (Amicucci 2021, Peyron 2019).
Il filosofo Luciano Floridi ha definito l’infosfera come «lo spazio semantico costituito dalla totalità dei documenti, degli agenti e delle loro operazioni», dove
per «documenti» si intende dati e conoscenze in vari formati; 
per «agenti», sistemi che interagiscono con i documenti; 
per «operazioni» azioni eseguite dagli agenti e registrate nei documenti.
Secondo il filosofo Maurizio Ferraris, l&#8217;infosfera è parte di una &#8220;docusfera&#8221;, un vasto oceano di documenti derivati dalle azioni umane sul web, che a sua volta si basa sulla &#8220;biosfera&#8221;, il mondo della vita. La sfida nella trasformazione digitale dei beni culturali sta nella gestione di questa complessità e nella governance del digitale.

Infosfera 

Con Knowledge as a Service (KaaS, “conoscenza come servizio”) si indica un servizio informatico che fornisce agli utenti informazioni organizzate da uno o più combinazioni di modelli di conoscenza. Assieme a Data/Software/Infrastructure as as Service (D/S/Iass), fa parte dei principali modelli di cloud computing (Chrysikos e Ward, 2014). A differenza di Data as a Service (DaaS), che fornisce dati, KaaS offre “conoscenza”, intesa come una rete di relazioni di dati e informazioni riguardo a un determinato ambito di conoscenza (18th International Semantic Web Conference). Tramite un sistema Knowledge as si può accedere, via internet, a elementi di conoscenza strutturata sotto forma di grafi di conoscenza (knowledge graphs). In questo modo, un KaaS è in grado di trarre informazioni dal contesto relativo sia all’utente, sia all’informazione richiesta dall’utente stesso. Sfruttando le potenzialità del web semantico, questa nuova forma di servizio si configura come un processo di conoscenza dinamico e interrelato.

Knowledge as a Service

La licenza d’uso è un contratto, redatto in genere in forma elettronica, con il quale un autore concede ad altri la “facoltà di utilizzo di un’opera o di altri materiali protetti” (Orlandi et al., 2021); in un contratto di licenza i diritti non vengono ceduti ma rimangono del titolare, che stabilisce le modalità di utilizzo dei contenuti licenziati. Le licenze si dicono “aperte” quando consentono l’utilizzo dei contenuti da parte di chiunque, anche per finalità commerciali, in formato disaggregato. Alcuni esempi di licenze aperte standard sono: Creative Commons (CC), Open Government Licence (OGL), Open Data Commons (ODC), Italian Open Data License (IODL).

Licenza d’uso 

Il termine “modello” può assumere diversi significati a seconda del contesto. I modelli possono essere:
<ul>
<li>le strutture con cui si rappresentano e si formalizzano, nell’ambiente digitale, gli oggetti del patrimonio culturale nella loro riproduzione dall’analogico;</li>
<li>il modo in cui vengono ridisegnati nella struttura di un sistema più ampio delle tecnologie che lo accompagnano nella realizzazione;</li>
<li>i modelli di fruizione che vengono offerti all’utente;</li>
<li>i modelli gestionali del lavoro che richiedono competenze trasversali.</li>
</ul>
Questo concetto non si limita all&#8217;ambito digitale, ma permea l&#8217;organizzazione del lavoro, la formazione e la strutturazione della conoscenza e dei servizi per gli utenti. Nelle Digital Humanities, la modellazione è una pratica chiave, coinvolgendo processi creativi e di formalizzazione di un ragionamento o di rappresentazione di un dominio di interesse. Nel campo informatico, i modelli comprendono attività di architettura del software, organizzazione delle informazioni e di disegni di sistemi, come applicazioni, reti e gestione dei dati.

Modelli

La maturità digitale (digital maturity) è definita come la capacità di un’istituzione di utilizzare, gestire, creare e comprendere il digitale, in modo contestuale (adatto al proprio ambiente e alle proprie esigenze specifiche), olistico (che coinvolge la visione, la leadership, il processo, la cultura e l’organizzazione) e propositivo (costantemente allineato alla missione dell’istituzione). Nel caso specifico degli istituti culturali, la valutazione del grado di maturità digitale (maturity assessment) consente di comprendere e misurare la propria capacità digitale, stabilendo delle strategie e dei piani di miglioramento in funzione degli obiettivi di trasformazione digitale.

Maturità digitale

I metadati sono informazioni strutturate che descrivono dati o insiemi di dati. Indistricabilmente legati e necessari per la corretta gestione del ciclo di vita di una risorsa digitale, i metadati sono in genere sviluppati per mezzo di pratiche e metodologie di comunità scientifiche di specifici domini di conoscenza, e fanno ampio uso di standard nazionali e internazionali, schemi e vocabolari controllati specifici per ciascun ambito del sapere. 
Vengono spesso definiti come dati che descrivono altri dati, o come insiemi di dati associati a un determinato documento informatico che permettono di identificarlo, di descriverne il contenuto e il contesto, garantendone la sostenibilità nel tempo. 
Descrivere una risorsa attraverso i metadati ne permette la comprensione da parte di persone e macchine in modo da facilitare e promuovere l’interoperabilità. A seconda della tipologia di informazione veicolata, i metadati sono distinti in diverse categorie: metadati descrittivi, gestionali, amministrativi, tecnici, di conservazione, sui diritti, strutturali.

Metadati

L’Open Access (“accesso aperto”) si afferma come movimento a partire dal 2001 con la Conferenza di Budapest organizzata dall’Open Society Institute (OSI), seguita nel 2002 dalla Budapest Open Access Initiative (BOAI). Per «accesso aperto» si intende la disponibilità libera su Internet, con rete pubblica, di risorse digitali, che permette a qualsiasi utente di leggere, scaricare, copiare, distribuire, stampare, cercare o collegare i testi completi di articoli, “strisciarli” per l’indicizzazione, passarli come dati al software o usarli per qualsiasi altro scopo legale, senza barriere finanziarie, legali o tecniche diverse da quelle inseparabili dall’accesso a Internet stesso (Orlandi et al., 2021). L’unico vincolo alla riproduzione e alla distribuzione, e l’unico ruolo del copyright in questo campo, consisterebbe nel dare agli autori il controllo dell’integrità del loro lavoro e il diritto di essere adeguatamente riconosciuti e citati.

Open Access

Il termine paesaggio culturale identifica un sistema di valori connotato dalla relazione fra beni culturali, cittadini/comunità e contesti fisici/virtuali. Il campo determinato da tali relazioni consente di superare lo storico isolamento degli oggetti culturali nelle istituzioni di conservazione, per intercettare nuovi pubblici e promuovere nuovi significati, anche di natura sociale.
L’ordinamento italiano ha storicamente ben definito la natura individuale dei beni: antichità, monumenti, belle arti, bellezze naturali, ecc. L’attenzione riservata alle istituzioni destinate a contenerle e/o a tutelarle è sempre stata relativamente secondaria. Dalla Convenzione di Faro (2005) in poi, l’interesse delle istituzioni internazionali è ulteriormente slittato verso i contesti fisici/virtuali, mettendo in luce la complessità delle azioni formali designate a intercettare i processi di patrimonializzazione. ICOM, nel 2014, con la Carta di Siena (perfezionata a Cagliari nel 2016), ha tentato d’interpretare l’impianto di Faro, mediandone l’impatto con la “tradizione” italiana.

Paesaggio culturale 

Per patrimonio culturale digitale si intende l’insieme di oggetti digitali prodotti dalla modellizzazione di dati informativi o dalla organizzazione di contenuti nativamente digitali, il cui fine è conseguire obiettivi più avanzati di conoscenza, attraverso lo sviluppo del potenziale relazionale che ne caratterizza la diffusione. La disponibilità di tali oggetti nell’ambito di un ecosistema che li valorizzi, insieme all’uso o il riuso degli stessi in forma creativa, contribuiscono alla formazione, al pari dei beni materiali e immateriali, del patrimonio culturale (Bertini et al., 2020).
I dati grezzi e le riproduzioni digitali non hanno valore culturale intrinseco, ma diventano significativi quando organizzati come oggetti digitali interattivi. Questi oggetti producono elementi patrimoniali connotativi attraverso le relazioni, legittimandosi per la capacità di interpretare bisogni di senso non episodico o puntuale, ma radicato nell&#8217;esperienza di conoscenza da parte di una comunità.

Patrimonio culturale digitale 

Per processo di patrimonializzazione si identifica l’insieme delle azioni, promosse su istanze sociali di tipo culturale, tecnico-scientifico e giuridico-amministrativo, attraverso le quali un qualsiasi oggetto, materiale, immateriale o digitale, viene considerato degno di sopravvivere al deperimento naturale per essere conservato nel tempo come testimonianza di civiltà. 
La patrimonializzazione è un processo intenzionale che interessa, fin dalle origini, oggetti destinati a perdere gli originari attributi funzionali per assumere uno statuto nuovo, all’interno del perimetro definito dal valore culturale. La patrimonializzazione in realtà non è irreversibile: un bene così come è entrato a far parte del patrimonio, può uscirne per i più vari motivi. Lo studio dei percorsi d’inclusione e di esclusione toccano ambiti diversi, fra i quali quelli del potere simbolico, dei paradigmi culturali, delle istituzioni, della gestione/destinazione delle risorse, della partecipazione/mobilitazione delle comunità, dell’efficacia della tutela e della conservazione.

Processo di patrimonializzazione 

L’ambiente digitale, e in particolare il web, sono il luogo in cui si costituisce un ecosistema basato su molteplici relazioni e scambi di dati, di reti, utenti e risorse digitali interconnesse “tanto eterogenee quanto ramificate”. Le tecnologie e gli standard del web attuale hanno contribuito a creare nuove forme di rappresentazione delle informazioni e dei documenti storici (siano essi analogici o nativamente digitali), offrendo la capacità di avere più espressività degli oggetti digitali e di mettere in relazione sempre diversa le informazioni. L’utente, interagendo, manipolando e associando secondo un proprio criterio le risorse digitali, ne ridefinisce il contesto, che risulta arricchito da nuove prospettive di senso e stratificazione di significati. Questo insieme di relazioni sta progressivamente cambiando sia la produzione e fruizione del patrimonio culturale, sia la reperibilità delle informazioni, sempre più accessibili nello spazio digitale.

Relazione

Con l’espressione silos di dati si intende una componente isolata di un sistema informativo che non condivide i dati, le informazioni e/o i processi con le altre componenti del sistema. I componenti di un’architettura a silos (o monolitica) sono integrati in un blocco compatto di codice, quindi le modifiche a uno solo di essi sono impattanti sull&#8217;intera infrastruttura. Questo comporta problemi di manutenibilità e sostenibilità, poiché ogni aggiornamento aumenta il carico del codice e un componente può influenzare l&#8217;intera applicazione, compromettendo il sistema. 
Un silos di dati si verifica ogni volta che un sistema di dati è incompatibile o poco integrato con altri sistemi di dati. Le scelte di modellazione sono spesso la causa principale dei problemi di integrazione tra dati, rendendo molti sistemi di gestione incompatibili fin dalla base, quello della architettura dei dati stessi. Questo ostacola la condivisione e l&#8217;accesso ai dati, scoraggiando la collaborazione e creando incongruenze.

Silos di dati 

Per sistema federato si intende un tipo di sistema di gestione di basi di dati che integra più database autonomi preesistenti, che possono essere geograficamente decentrati e conservati in DBMS (Database Management System) eterogenei, in un unico sistema. Alla base del sistema federato (multi-database) vi è un server in grado di ricevere richieste di query e distribuirle ad origini dati remote. Le tecniche per la gestione di basi di dati federate devono tenere conto delle eterogeneità di sistemi e applicazioni, consentendo uno scambio dei dati che superi le differenze di rappresentazione dei vari sistemi e permetta una opportuna integrazione, conversione e riconciliazione dei dati fra un’applicazione e l’altra. 
Un database federato può essere ad accoppiamento libero, che richiede quindi l’accesso ad altri componenti del database, ad accoppiamento stretto, che utilizza processi indipendenti per lavorare in un sistema federato, o un database blockchain, che gestisce le transizioni finanziarie e di altro tipo.

Sistema federato

In ambito culturale, la trasformazione digitale non riguarda solo le tecnologie utilizzate, le tipologie dei prodotti e dei servizi offerti o le modalità di interazione adottate, ma investe in profondità il modo in cui si concepiscono le persone e le competenze nel contesto delle relazioni. La trasformazione digitale delle istituzioni culturali è un processo complesso, che abbraccia tutte le aree operative del patrimonio culturale (dalla logistica alla gestione delle collezioni, dalla formazione delle risorse umane al marketing e alla comunicazione, dal design dei servizi ai modelli di gestione, ecc.). Essa consiste nel ripensamento delle logiche di lavoro, nell’innovazione delle modalità di interazione con i pubblici, nella creazione di nuovi modelli operativi all’interno dell’ecosistema digitale in cui la tecnologia è lo strumento abilitante del cambiamento.

Trasformazione digitale 

Lo User journey, in italiano “percorso dell’utente”, è una tecnica utilizzata in particolare nei modelli di business e di marketing per conoscere e riprogettare l’esperienza dell’utente con un particolare brand, prodotto o servizio, soprattutto nell’analisi dei processi di acquisto. Si considera e analizza l’intero percorso dell’interazione: da quando l’utente viene a conoscenza di un determinato oggetto digitale alle esperienze che può avere. L’attenzione non è posta sulle transazioni, ma su come l’utente si sente dopo aver interagito con quel particolare oggetto. 
Lo user journey documenta l’intera esperienza di un utente per costruire e garantire la fruizione del prodotto digitale (che sarà dinamico e cambierà a seconda dell’utente).

User journey

Il vocabolario della Digital Library

Un tavolo, cinque esperti, tante idee e una grande ambizione: svolgere una riflessione collettiva sugli aspetti chiave che accompagnano la trasformazione digitale degli istituti della cultura e sulle competenze necessarie ad intraprenderlo, per indagare:
<ul>
<li><a href="https://www.youtube.com/watch?v=9RLzQb2-HgU&amp;t=1s">Come cambia la visione del patrimonio culturale nell&#8217;ambiente digitale</a></li>
<li><a href="https://www.youtube.com/watch?v=aB3deMr_GA4">Come cambia la gestione dell&#8217;istituzione culturale nell&#8217;ambiente digitale</a></li>
<li><a href="https://www.youtube.com/watch?v=ynLW-XuC0zk">Quali strumenti giuridici per governare la transizione digitale</a></li>
<li><a href="https://www.youtube.com/watch?v=qCViDmwizEg">Quali sono i fattori abilitanti per attuare la trasformazione digitale</a></li>
<li><a href="https://www.youtube.com/watch?v=pW6essOTeBQ">Professioni e competenze per il patrimonio culturale digitale</a></li>
</ul>
Affrontare la varietà delle discipline, delle competenze e delle conoscenze è un processo del patrimonio culturale &#8211; fondamentale per la crescita e il progresso della cultura digitale.

I^ tappa - Creare un contesto abilitante per operare un cambio di visione

I dati hanno la capacità di creare significati “nuovi”. La trasformazione digitale crea l’opportunità di mettere in relazione gli oggetti del patrimonio culturale digitale, rendendo possibile l’interoperabilità dei dati nel web e tra diverse banche di dati. 
Produrre e pubblicare le risorse digitali secondo i principi FAIR (Findable, Accessible, Interoperable, Re-usable) significa renderli coerenti, riutilizzabili e promuoverne la rintracciabilità, l&#8217;accesso e il riuso.
&nbsp;
Sono stati organizzati tre focus group, composti da esperti provenienti dalla PA, soggetti privati e Università, per mettere a fuoco idee, considerazioni e suggerimenti, casi d’uso e buone pratiche:
• dati e open data 
• oggetti e interoperabilità delle risorse 
• esperienze e tecnologie immersive

II^ tappa - Mettere in dialogo chi produce i dati con chi li usa e chi li riusa

In questa ultima tappa la Digital Library ha avviato un dialogo con esperti di altre discipline, chiedendo loro un contributo o una riflessione su “cosa significano e cosa rappresentano”, per loro, le parole-chiave della digitalizzazione del patrimonio culturale. Un lavoro di disambiguazione concettuale e terminologica raccontato in nove video-pillole, con la partecipazione degli esperti del settore dei beni culturali che hanno fatto parte del comitato scientifico di Relazioni digitali.

III^ tappa - Consapevolezza e linguaggio

Spazio al dialogo

A.I. per i misteri egizi

Alla scoperta delle proprie origini: il portale “Antenati”

Alphabetica, il nuovo portale per esplorare il patrimonio delle biblioteche italiane

CARTA: digitalizzare i giornali postunitari

Digitalizzare e socializzare

Duomo, guardare al futuro nel rispetto del passato

Estense Digital Library (EDL)

Giocando con Augusto

I nuovi Antenati

Il colore nascosto

Il documentario italiano trova una casa digitale

Il Museo MArTA 3.0

La cultura aiuta a stare bene

LA FESTA IN TASCA

La piattaforma WebGis delle superfici pavimentali, musive e marmoree del Parco archeologico del Colosseo

Lazio antico e digitale

Le nostre vite in piattaforma

Libri in ebraico e dove trovarli

Mappe, registri e inventari: al via la digitalizzazione degli archivi catastali

Maxxi phygital

Memoria Capitale

Memorie di miniera

Michelangelo, per tutti

MICROFILM: al via la digitalizzazione dei manoscritti

Musei, a disposizione di tutti digitalizzate 600.000 opere custodite nei depositi

Online l’archivio fotografico di Carlo Levi

Pepper al Museo di Palazzo Reale di Genova

Positivi, negativi, unicum e disegni: al via la digitalizzazione degli archivi fotografici

PROGETTI HoloMuseum a Castel Del Monte Sito Unesco – Andria (BT)

REMIAM

Ricordi di musica

Sfogliare la Galleria Borghese. Nuove tecnologie per il museo del futuro

Smart Glasses per la mostra “Gladiatori” al MANN

Tourer.it – esplora il patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna

Un occhio dall’alto

Un robot enigmista per Pompei

I progetti realizzati dalle istituzioni del patrimonio culturale “GLAM” (Galleries, Libraries, Archives, Museum), al fine di rappresentare le diverse forme della digitalizzazione del patrimonio culturale.

Gli esempi virtuosi

Accesso aperto ai contenuti

Catalogazione e digitalizzazione delle collezioni

Categorizzazione condivisa dei dati

Contenuti generati dagli utenti

Copie digitali

Progetti condivisi

Videogiochi e Gamification

Visite virtuali: realtà virtuale, aumentata, virtuale immersiva

Una prima mappatura dei principali modelli di fruizione digitale del patrimonio culturale e una presentazione di alcuni casi di successo esemplificativi, ritenuti di successo nazionali, attinenti a realtà di differenti dimensioni e a progetti di rete.

Buone pratiche

News

Avvisi di co-creazione. Un webinar rivolto agli istituti e ai luoghi della cultura

Piano digitale del MiC, Laura Moro: “Orientato a massimizzare la condivisione dei dati”

Pnrr, ritardi per oltre metà delle misure ma non per la cultura

Un cloud per la cultura italiana, via al piano. Moro: “Accesso democratico a tutti”

Una banca dati nazionale con milioni di oggetti digitali

Eventi, avvisi e notizie dal mondo

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Spazio al dialogo

I^ tappa - Creare un contesto abilitante per operare un cambio di visione

II^ tappa - Mettere in dialogo chi produce i dati con chi li usa e chi li riusa

III^ tappa - Consapevolezza e linguaggio

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